Quello verso cui miriamo…


Ci avevo pensato intensamente già altre volte, giuro non era la prima. Ma ieri sera vuoi per il freddo, vuoi per il luogo, vuoi per la presenza del mio raro buonumore immotivato, ieri sera le ho viste davvero. Le note. I toni e mezzitoni di cui si parla sui libri di scuola quando alla mattina alle 10 ti fanno suonare il flauto dolce in aule cariche di ormoni in subbuglio e odori adolescenti buoni e cattivi. Esistono davvero e io le ho viste. Noi non ce ne rendiamo conto. Lo sanno solo i veri musici, quelli che sono gelosi delle loro creazioni e che tentano di dare l'eternità ad un movimento d'accompagnamento semplice. Il Jazz. New Orleans e le sue Barrellhouse. La sua discesa liberista degli anni ‘70. Le note imbavagliate dalla troppa libertà. E poi la dovuta accortezza nel rilegarle al processo compositivo già di per se più libero in assoluto. Si parla di stonature volute, di cambi di tono, di movimenti lenti e prolungati nell'errore. Nell'errare nel deserto di due note su battute regolari in quattroquarti alla ricerca di tutto ciò che ci è permesso in una frazione di secondo. E' questo il compito del jazz. Conquistarsi a fatica il diritto di assolare per natura. Di piegarsi all'accompagnamento solo quando un altro componente della band ha la necessità vitale di emergere a sua volta. E per il resto del tempo controtempare sulle onde malavitose e spettacolari del contrabbasso o della chitarra strimpellata a tirar fuori la sua aggressività naturale. Zero compromessi con la tecnologia e con fischi vetusti e banali. La tromba si guarda intorno, si trova sospesa in una frazione di secondo fra il la#7- e il si bemolle. Intuisce la direzione possibile, tra tutte le variazioni possibili ne sceglie una. Ci si avventura. Prolunga all'infinito un passaggio che di per se durerebbe quanto il battito di ciglia sonnolento di un automobilista pre-colpo di sonno. Capite? Il jazz è colpo d'occhio, intuizione e capacità d'esecuzione. Come la zingarata con supercazzola annessa. Non c'è scampo, per fare jazz e ascoltarlo devi essere così libero da volerne di proposito morire. E non solo la tromba alla fine si svuota di senso fisico e desta quello suo meramente sinfonico ed espressivo, così il sax tenore, il sax alto, il pianoforte e la batteria stessa. Che dei quattroquarti e degli standard non sa che farsene e mal li sopporta quasi persino quando sarebbero gli altri ad averne più urgenze creative. Non c'è scampo, capitemi. Non è che per liberarmi di un pensiero che questa notte non mi ha fatto dormire, che ora vi faccio il resoconto del secondo esatto in cui ho capito il senso delle cose. E per la prima volta non mi son sentito solo. Perché chi in controtempo, chi dritto come una schioppettata, tutti intorno a me muovevano la testa chi le gambe chi semplicemente schioccava le dita. Il gran varietà dello stracotto. Il circo delle stranezze solo a parole. Che troppo ci siamo abituati per due decenni a suoni piatti e ora c'è da farsi violenza a ritornare indietro. Che troppo è importante un solo secondo di questa musica così dolce come una sigaretta, così decisa come il mal di stomaco, così sfuggente come la donna che non poteva presentarsi in ritardo quella notte, che se vi sentite soli è perché veramente lo volete. Altrimenti c'è un filo che vi lega agli altri e questo filo, in serate come quella passata ieri al club all'aperto, è alla portata di tutti. Solo liberate la mente ma tenete ben aperti gli occhi. Che volendo trattenere all'infinito quel frammento di passaggio, il musicista col clarinetto potrebbe avervi infilzato un calcagno col sibilo assassino rilasciato un attimo fa dalla sua oncia dorata. Provate ad alzarvi ora, vi accorgerete che è impossibile. Come in guerra, l'unico modo per riportare la vostra pelle a casa è quello di concedere la morte alla vostra stanca mente; fare come la bestia, alzare la zampa e pisciare per terra, annusare il cibo prima di ficcarselo in bocca con le mani. Morire per conquistare un territorio, saper perdonare le vendette peggiori. Il jazz è la vendetta peggiore verso chi sa di non essere tra i prescelti.

Anniaffollati